Con la recentissima sentenza della Corte di Cassazione Civile a Sezioni Unite, del 08.02.2011 n. 3033, si è affermato un principio di diritto molto importante per il corretto svolgimento dell’attività forense in materia di trattamento dei dati personali.
Infatti, la Cassazione ha affermato che è legittima la ritenzione di copia di documenti consegnati dal cliente per la relativa utilizzazione nel processo per il quale era stato conferito il mandato pur dopo l’intervenuta revoca di esso, quando si tratti di far valere in altra sede processuale il diritto al compenso per l’attività professionale svolta.
Ciò è possibile sulla base dei seguenti presupposti individuati dalla Suprema Corte:
a) nella specie è certamente ravvisabile una ipotesi di trattamento di dati personali;
b) i dati personali oggetto di trattamento devono essere gestiti secondo correttezza, utilizzati in operazioni diverse da quelle che avevano dato luogo alla raccolta se compatibili con le prime e comunque non devono essere eccedenti rispetto alle finalità che avevano dato causa alla raccolta;
c) il consenso dell’interessato al trattamento dei dati, ordinariamente necessario, non è viceversa richiesto nei casi indicati nell’art. 24 d.lgs 196/03, fra i quali in particolare, la prescrizione che contempla l’ipotesi di utilizzazione dei dati per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, ”sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento”.
La Cassazione prosegue il suo ragionamento rafforzandolo con il riferimento anche al Codice di deontologia e di buona condotta per i trattamenti di dati personali effettuati per svolgere investigazioni difensive, adottato con provvedimento del garante n. 60 del 6.11.2008.
Nel codice citato, l’art. 4 prevede espressamente che la definizione di un grado di giudizio o la cessazione dello svolgimento di un incarico non comportano un’automatica dismissione dei dati, bensì, una volta estinto il procedimento o il relativo rapporto di mandato, atti e documenti attinenti all’oggetto della difesa o delle investigazioni difensive possono essere conservati, in originale o in copia e anche in formato elettronico, qualora risulti necessario in relazione a ipotizzabili altre esigenze difensive della parte assistita o del titolare del trattamento, ferma restando la loro utilizzazione in forma anonima per finalità scientifiche.
La valutazione è effettuata tenendo conto della tipologia dei dati. Se è prevista una conservazione per adempiere a un obbligo normativo, anche in materia fiscale e di contrasto della criminalità, sono custoditi i soli dati personali effettivamente necessari per adempiere al medesimo obbligo.
La Corte, inoltre, ricorda alcune altre sentenze in materia tra cui C.08/10690, C 09/15327 C. 09/3358, C, 08/12285, che hanno sostanzialmente affermato la derogabilità della disciplina dettata a tutela dell’interesse alla riservatezza dei dati personali quando il relativo trattamento sia esercitato per la difesa di un interesse giuridicamente rilevante e nei limiti in cui ciò sia necessario per la tutela di quest’ultimo interesse.
Per i principi di grande rilevanza pratica per gli esercenti la professione, la sentenza riveste notevole importanza, e consente di avere più chiari gli ambiti (fondamentalmente l’esercizio del proprio diritto al compenso) entro i quali si possono trattenere i documenti contenenti dati personali (anche sensibili) del cliente, nonostante la revoca dell’incarico.
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